Voci d’Angelo, Voci malevole

Se la Scala non esitò a spalancare nel 2002 le sue porte a Renata Tebaldi, lo fece esclusivamente per rendere omaggio a quella giovane stella in progress che, tra altre voci di fama consolidata, convocata da Toscanini, l’aveva reinaugurata nel maggio del 1946, quando era stato il riverito Maestro a rendersene personalmente garante, assegnandole dal podio quella qualifica di “Voce d’Angelo” che l’avrebbe segnata per almeno altri trent’anni a venire.

Battezzare così una fonte sonora per più versi paradisiaca suonava certamente legittimo; eppure va anche riconosciuto che non era così che se ne rappresentassero in completa fedeltà altri paritari elementi di suggestione: l’inusitata ricchezza di armonici, lo sfarzo della cavata terrenamente sana e sensuosa più che serenamente celestiale. Insomma, più che azzurri teneri e fondi-oro, quella voce evocava semmai figurazioni sontuosamente barocche: trombe del Giudizio di Arcangeli con corazze ageminate e drappeggi di sete e velluti.

L’omaggio del 2002 era indirizzato ora ai suoi gloriosi ottant’anni appena compiuti, in una celebrazione commossa e fervida di auspici per un ulteriore appuntamento a venire che sarebbe stato addirittura il quarto nella successione dei genetliaci festeggiatile eccezionalmente nei leggendari spazi milanesi, dopo i settant’anni ancora splendidi e i settantacinque che ce l’avevano rivelata, questi, fisicamente più fragile eppur sempre radiosa.

Questa volta, auspice Riccardo Muti, l’avevano chiamata ad apporre i sigilli alle porte del Teatro tuttora nella sua veste postbellica per consentirne una radicale ristrutturazione, certamente funzionale ma forse irrispettosa del tradizionale assetto per così dire toscaniniano.

L’aureola, comunque, lei se l’era vista assegnare in quel fatidico 1946 per la resa nel “Te Deum” verdiano, intervenendo come voce sola – così come designata dal compositore in partitura – nel trionfante ‘In te speravi’ con la compagine corale unita alla solista e a una tromba con sordina.

Angelicità, dunque, tutta da attribuire all’apprezzamento toscaniniano dal podio anche se poi, non si sa in virtù di quale malignità iconoclasta, ci fu qualcuno che non rinunziò ad affermare (né furono pochi quelli che gli fecero disinformata eco) che la qualifica lusinghiera da altro non prendeva origine se non da un’indicazione di Verdi che, in partitura (ma l’avevano controllata sul serio?), aveva testualmente affidato l’intervento solistico a una …Voce dal Cielo, ovvero, per induzione assolutamente priva di grinze, a una Voce d’angelo.

Per la verità, a tale travisamento, lei un po’ si adontava ma crediamo che ormai sappia finalmente sorriderne, come a suggellare un perdono che, rifacendosi un po’ al Patroni-Griffi di ‘Prima del silenzio’, sarebbe da chiedere per i tanti, troppi che, con fallace forza seduttiva, ti adducono in errore abusando di parole apparentemente convincenti.
Ma tant’è: così l’aveva qualificata di slancio nientemeno che un Toscanini e lei “Voce d’angelo” meritatamente restò tale, da lì a qui, da qui all’eternità…

Vincenzo Ramón Bisogni