Quando si parla di Renata Tebaldi, si sottolinea e si esalta sempre la bellezza ineguagliata della Sua voce, dal timbro indimenticabile, dal colore meraviglioso, creata apposta “a miracol mostrare”.
Ma Renata aveva fatto di questo suo straordinario dono di natura, uno strumento a disposizione della più raffinata espressione musicale e drammatica, affrontando con pari slancio e determinazione opere del repertorio più vasto e differenziato.
La Sua fu una vita di artista e di donna al servizio assoluto della musica e del teatro, senza capricci o inutili divismi, poiché Lei era nata diva, nel senso di divina.
La nostra fu un’amicizia, nata e sviluppatasi durante i miei anni scaligeri, quando Renata amava, onorandomi, venire alle mie prove e discutere, poi, affettuosamente dei grandi artisti del passato e dei vari problemi della presente vita musicale.
Era severa nel giudicare, ma onesta e priva di pregiudizi o di partigianeria.
Il nostro comune rammarico era quello che la differenza generazionale ci aveva impedito di fare musica insieme; per me collaborare con una artista simile sarebbe stata la realizzazione di un sogno.
Volle esprimermi il Suo affetto e la Sua stima, offrendomi, un giorno, una lettera autografa di Verdi, scritta nel 1898 a Sant’Agata, che Lei aveva tenuto per anni e anni sul Suo pianoforte.
Renata sapeva che la intensa passione per Verdi ci accomunava e, per questo, si privò di ciò che, forse, aveva di più caro e prezioso.
È stata un’artista, che ha saputo amare il mondo nel senso più totale e con grande nobiltà d’animo. A tanto amore corrispose anche tanta sofferenza, tanta delusione, che seppe tenere nascoste con dignità dentro di sé.
Quando ascoltiamo la Sua “voce d’angelo”, come la definì Arturo Toscanini, un balsamo benefico attraversa i nostri cuori e sempre li attraverserà.
Grazie Renata!
Bruno Cagli
Ho amato molto Renata Tebaldi sin da giovane, quando ho potuto ascoltarla, con la sua voce, unica per il legame con la migliore tradizione del Bel Canto italiano, per la pregnanza di un registro uguale in tutte le sezioni. Un altro fattore indimenticabile era la pienezza che le consentiva, come suol dirsi, di riempire il teatro anche nelle mezze voci e nei pianissimi. Segno indiscutibile di impostazione tecnica perfetta. Ho spesso, lavorando con i cantanti, evocato questa sua capacità, ricordando, ad esempio, l’entrata memorabile da dietro le quinte nella Madama Butterfly. Poi avemmo una singolare occasione di incontro, se così posso definirla. Nel 1981 eravamo proposti come Accademici di Santa Cecilia e il 25 settembre di quell’anno fummo eletti, Renata, come giusto, con quattro voti più del sottoscritto. L’elezione ceciliana a me avrebbe cambiato la vita, per la grande stella era un onore in più. Più tardi, da direttore artistico dell’Opera di Roma, ho avuto occasione di festeggiarla (conservo bellissime foto in merito) e di ospitarla nel mio palco. La scarne osservazioni (era una donna molto riservata) che faceva nel corso delle esecuzioni erano di precisione e pregnanza assolute e le ricordo come un vero e proprio magistero impartitomi proprio quando mi interessavo molto della tecnica vocale. Negli ultimi anni la nostra affettuosa amicizia (come, a mio onore, mi permetto di definirla) non è mai cessata.
Edoardo Müller
Fu una delle emozioni più memorabili della mia vita quella che provai quando il sovrintendente della Scala, Paolo Grassi, mi propose di andare a Mannheim per accompagnare al pianoforte Renata Tebaldi in un suo recital. Pochi giorni di preparazione, per essere degno di tanto onore, una felice prova con Lei, ed uno straordinario successo la sera successiva. Il giorno dopo, ritornato a casa, mi sembrava di aver sognato. Ma non passò molto tempo che ricevetti un’altra offerta, ancora più importante. Quella di effettuare una tournée con Lei in Polonia e nell’Unione Sovietica. Anche questa, naturalmente, fu una serie di trionfi. Ma soprattutto in quel periodo ebbi modo di conoscerla umanamente. Divenne la nostra una relazione artistica basata sul rispetto e sulla fiducia, che si protrasse per molti altri concerti, fra i quali l’indimenticabile addio alla Scala.
In che cosa mi ha arricchito questa esperienza?
Mi ha insegnato che alla base di una grande carriera sta una serie di doti indispensabili, che Renata Tebaldi possedeva in sommo grado. Qualità vocale che deve essere non solo superiore, ma anche molto personale, inconfondibile. Una musicalità che sappia essere al servizio dei compositori che si interpretano. Una serietà professionale senza compromessi. Naturalmente una capacità di controllare le proprie emozioni. Ma soprattutto un carisma che fa scattare una vibrazione fra chi porge e chi recepisce ogni singola frase musicale.
Consiglio a voi, giovani cantanti di talento che ambite ad una carriera di primo livello, di non cercare di imitarla, ma di seguirne l’esempio di dedizione, di sacrificio e di coscienza del proprio valore.
I risultati arriveranno dopo, inevitabilmente.
Vincenzo Ramon Bisogni
IL SORRISO DI RENATA TEBALDI, MISS “DIMPLES OF IRON”
Chi scrive davvero non sa quanto a ragione (o quanto a torto) più di un estimatore delle virtù vocali di Renata Tebaldi lo tenga in conto di una sorta di oracolo o, quanto meno, di interlocutore privilegiato in materia di qualcosa definibile più o meno “Tebaldeide”.
È così che recentemente è stata la volta di un cortese avvocato che, da una cittadina del Lazio, ci ha chiesto al telefono se per caso fossimo in possesso di un qualche documento fotografico che ritraesse il Gran Finale III della “Manon Lescaut” interpretata dalla grande Renata a Roma nel lontano aprile del 1961. Una richiesta così precisa – ha chiarito – era motivata dalla speranza che almeno in fotografia potesse rivedersi a fianco del soprano, visto che in quelle recite romane aveva agito da figurante, occasione che, a lui studente, aveva consentito di guadagnare un po’ di argent de poche.
In veste di guardia del Re, proprio quella preposta a spingere la sciagurata Manon verso la nave che la deporterà nelle Americhe, si era dunque ritrovato vicinissimo al soprano. Emozionato nel rivivere quel momento, ha tenuto a sottolineare quale carisma, senza nemmeno la mediazione del canto, emanasse sempre e comunque dal tratto e dalla figura della Tebaldi, rendendola pressoché inaccostabile, degna di subitaneo rispetto.
E sì, perché al momento dell’appello delle prostitute, al nome di Manon il giovane si sarebbe dovuto accostare con modi bruschi alla protagonista per sospingerla verso il gruppo delle compagne di sventure. Solo che, nell’immediato, davanti alla primadonna che, dall’ombra della prigione, gli veniva incontro tutta immedesimata nell’offesa creatura pucciniana, fu tale l’impressione di dignità destatagli dallo sguardo di due occhi di zaffiro che tacitamente non consentivano confidenza di sorta, che nemmeno osò sfiorarla con un dito. Concludeva il ricordo convinto di non poter altro che concordare con l’appellativo di “Sua Soavità”, di accezione pressoché regale, meritato da lei a suo tempo; e insieme riconvenimmo su quanto risultasse fondata anche l’osservazione di Enzo Biagi che scrisse come alla Tebaldi, per intimidire i direttori dei teatri, non occorresse affatto dar mostra, come altre, di carattere spigoloso: a lei era sufficiente non più che la nobile fermezza del sorriso offerto da due adorabili “fossette di ferro”, vale a dire le proverbiali “dimples of iron” decantate da stampa ed adoranti fans statunitensi.
Giuseppe Caruso
suo amico e fan
Già da piccolo il nome di Renata Tebaldi mi era familiare dai resoconti degli spettacoli a cui assistevano negli anni ’50 – 60 i miei nonni ed i miei genitori. Poi la Sua Voce imponente iniziò ad echeggiare per tutti gli ambienti della casa attraverso le riproduzioni in disco o quando, per fortuna spesso, c’erano le dirette radiofoniche
Così ho iniziato abbastanza presto a frequentare il Teatro di San Carlo e nel 1967 ebbi la gioia inaspettata ed immensa di poter vedere il mio idolo nell’opera “La Gioconda.” Era una produzione attesissima non tanto per la popolarità dell’opera, famosa fino ad allora solo per qualche romanza e soprattutto per la danza delle ore, ma per il ritorno sui palcoscenici italiani, al Teatro di San Carlo, della Tebaldi dopo ben cinque anni di assenza dalle nostre scene
Ricordo con tanta emozione quelle sere ed in particolare la sera della prima il 26 dicembre 1967 che iniziò sotto una pioggia incessante per finire sotto una pioggia…di fiori che ricoprì tutto il boccascena.
Ho conosciuto Renata quella sera in mezzo a centinaia di fan ed ebbi così l’occasione di potermi avvicinare ai fan storici della Tebaldi. Entrai nella così nella grande famiglia Tebaldiana e ricordo con tanto affetto Eva Rossi, Graziella Merendino, Mariolina Greppi, Gerda De Keyser, Isabella Pandarese, Secondo e Gianni Galloni, Leo Montoli, Vincenzo Ramon Bisogni, Gianni Mattera e tanti altri. Ero il più giovane…, avevo 18 anni, ma ne dimostravo di meno e perciò Renata mi chiamò subito con affetto “ Il pulcino”….
Da allora sono passati quarantacinque anni ricchi di gioia e di emozione. Ho rivisto da alllora Renata tante volte: nelle occasioni delle incisioni a Roma de “Il Ballo in maschera”, nei suoi concerti italiani alla Scala…in varie città italiane ed estere ed anche nel suo ultimo concerto al Teatro di San Carlo – quando ero, con la mia poltrona proprio davanti a Lei. Ebbi l’impressione che cantasse solo per me, ma Renata dava questa sensazione a tutti gli spettatori.
Ci sono state tantissime occasioni anche in privato di poterLa incontrare: a Milano, nella Sua bella casa, a Salsomaggiore, a Rimini, a Soresina, Viareggio, Firenze, Fiuggi, Roma a Pompei… ma fra le tante ne ricordo una in particolare: nel giugno del 1975 Renata fece un inaspettato ritorno a Napoli, in privato, per poter salutare i suoi amici e per definire gli accordi con la Direzione del Teatro di San Carlo per il Suo ultimo recital al Teatro (che avvenne nel novembre di quell’anno). Ebbi da un’amica comune la notizia del Suo arrivo e, invitato dalla Tebaldi stessa, mi precipitai nel pomeriggio all’Hotel sul lungomare di Napoli dove alloggiava per quel giorno. Uscii con Lei dall’albergo e facemmo a piedi tutta via Toledo, una strada famosissima del centro di Napoli fino ad arrivare alla fine di via Chiaia. Il percorso a piedi, non breve, fu un vero trionfo: le persone La riconobbero, uscivano dai negozi per applaudirLa, Le chiedevano autografi, Le porgevano fiori …e un’apoteosi si ebbe quando in un negozio di tabacchi, Le indicai una Sua foto esposta dal 1956 a ricordo di una memorabile edizione del Guglielmo Tell con la Tebaldi unica ed irripetibile Matilde. Alla sera durante la cena in un noto ristorante napoletano, a Lei molto caro, incontrò Carla Fracci e si ripetettero le ovazioni di sempre.
Avrei ancora tanto da raccontare della Sua dolcezza, delle Sue premure, manifestate più volte verso di me e la mia famiglia, ma queste sono doti che tanti ben conoscono.
Concludo con una frase che un ascoltatore Le disse al San Carlo dopo le parole “Non ti scordar di me…” “MAI!”.