Sei anni dopo l’ascesa di Renata Tebaldi al trono del Metropolitan di New York, eletta a voce femminile “regina”, anche Franco Corelli, idolatrato tenore marchigiano, venne chiamato al Met dove spopolerà letteralmente, in diciannove ruoli diversi per trecentosettantacinque serate, spesso in sodalizio con la nostra “Miss Sold-out”, alias Signorina tutto-esaurito, appellativo meritato dal richiamo del nome della Tebaldi ba box-office: eminentemente, avverrà ne “La Gioconda” di Ponchielli, nella pucciniana “Bohème” e in “Adriana Lecouvreur” di Ciléa.
Per questi due ultimi titoli, vale la pena riportare due particolari che la dicono lunga sulla concentrazione totale di Corelli al momento di entrare in scena, talmente straniato da isolarlo dal resto del mondo e distoglierlo perfino da incombenze scenicamente irrinunciabili. Toccava così a Tina Viganò, governante personale di Renata Tebaldi, di seguirlo fin quasi in scena e rammentargli di portare con sé, in “Bohème”, la cuffietta di Mimì, quella che al quarto quadro dell’opera il tenore estrarrà dal petto per cantare di conseguenza “E tu, cuffietta lieve…”; mentre, per l’opera di Cilèa, occorreva controllare che avesse appuntato sul petto le violette che daranno luogo all’inchiesta gelosa della Bouillon all’atto secondo.
Ebbene, quasi immancabilmente, a Tina che chiedeva: “Maestro, ha con sé la cuffietta (o le violette)?”, il tenore replicava stralunato: “Ma che cuffietta?! …che violette?!” con conseguente intervento salvifico dell’amica sollecita.
Un particolare divertente era poi connesso al comportamento di New II, il bar-boncino della Tebaldi che, intelligentissimo, vantava un autentico temperamento istrionico, tant’è che, con debita paga sindacale, trovava impiego più volte in scena al Met, sia come toy della Marescialla del “Rosenkavalier” che in grembo a innumerevoli Musette; e al suo apparire, immancabile si levava dalla platea il mormorio spontaneo del pubblico: “Wow, Tebaldi’s dog!”.
Ebbene, prima delle recite, sia Corelli che la collega dovevano opportunamente scaldare le loro voci sovradimensionate con ripetuti vocalizzi: quand’ecco che, dal camerino occupato dal soprano, s’innalzava l’uggiolare di New, tutto intento ad imitarne gli esercizi: “Uuuuuuwoooah, uuuuuuwoooah…”, finché all’uscio non compariva incazzatissimo il tenore en déshabillé che ordinava imperiosamente che quel …figlio di cane ( o giù, molto più giù di lì) la smettesse di portarlo fuori tono. Sopravveniva un silenzio sì e no di pochi attimi prima che il tenore-cane ricominciasse coscientemente ad esercitarsi al fianco della celebrata padrona: “Uuuuuuwoooah, uuuuuuwoooah…”, ammirevolmente intonato. Per forza, con quegli esempi!
Vincenzo Ramón Bisogni
Agosto 2013